Lino DE MATTEIS
Le proposte dell’UniSalento per un progetto di sviluppo territoriale, contenute nel “Masterplan di Terra d’Otranto”, presentato il 20 dicembre 2024 a Lecce, sono un’utile sintesi del lavoro di elaborazione avviato con il Protocollo d’intesa “Terra d’Otranto: dalle radici il futuro”, firmato, nel 2020, dai tre comuni capoluogo, dalle rispettive Province di Brindisi, Lecce e Taranto e dall’Università del Salento. La scadenza però di quel protocollo, che aveva la durata di tre anni, senza essere stato rinnovato dai sottoscrittori, alcuni dei quali, nel frattempo, sono cambiati per l’avvicendamento elettorale, ha privato il masterplan di quella preziosa convergenza politica delle istituzioni salentine, necessaria per dargli gambe e concretezza operativa. Un’ennesima occasione persa, dunque, che costringe nuovamente a ricominciare daccapo.
La “bozza di masterplan”, come in sostanza l’ha definita il rettore Fabio Pollice, che ha prospettato un programma di consultazioni con le parti sociali per la sua implementazione, ha un’indubbia validità accademica e rappresenta un’accurata analisi scientifica del contesto socio-economico, presupposto per la individuazione delle strategie necessarie alla crescita comune del territorio. Ma è necessario, ora, riprendere l’impervio cammino per il coinvolgimento delle istituzioni e la confluenza sinergica della politica salentina sulle priorità da sostenere insieme, nella consapevolezza che le battaglie su alcuni temi, come infrastrutture, ambientale, turismo e formazione, per esempio, o si vincono insieme o si perde tutti.
La strada possibile da riprendere è quella degli accordi tra le istituzioni e delle “cabine di regia” programmatiche, supportate dalle competenze scientifiche disponibili sul territorio. Ma per questo occorre la presenza di politici visionari e lungimiranti, in grado di capire il valore delle scelte comuni e darvi concretezza, superando i localismi e gli interessi elettorali. L’inefficacia, infatti, dei quattro protocolli d’intesa sottoscritti negli ultimi 25 anni tra le istituzioni delle tre province non vuol dire che fossero sbagliati i loro contenuti programmatici, ma che alla fine sono prevalsi gli interessi di parte sul bene comune, tradendo, ogni volta, le aspettative dei salentini e privandoli dei vantaggi che sarebbero loro derivati.
Il “Grande Salento”, amava ripetere un suo grande sostenitore come il compianto on. Giacinto Urso, «non è una nostalgia o una moda, ma una necessità». “Grande Salento” e non “Terra d’Otranto”, perché, pur essendo quest’ultima l’imprescindibile presupposto storico ed identitario di questo territorio, usata oggi per costruire il futuro suona di stantio e anacronistico, un toponimo non più in grado di esprimere l’attuale geografia amministrativa rappresentata dalle tre province, parte integrante della Puglia. “Terra d’Otranto” richiama, infatti, l’idea di un territorio autonomo, staccato dal resto della regione, ed egemonico, dominato, cioè, di volta in volta, da un capoluogo che storicamente ha prevalso sugli altri: Brindisi, Otranto, Taranto, Lecce.
La “Terra d’Otranto” non esiste più, mentre il “Grande Salento” si può e si deve ancora costruire. Bisogna prendere atto che, oggi, dopo un secolo di tripartizione fascista della penisola salentina, brindisini, leccesi e tarantini si identificano, giustamente, con le rispettive province e difficilmente sarebbero disposti a tornare indietro, come si è visto con il fallimento dell’iniziativa referendaria del “Movimento Regione Salento”, nel 2010, o le violenti polemiche scoppiate col tentativo di riforma delle Province fatto dal governo Monti, nel 2012. Se pure è condivisibile e perfettamente adattabile alle tre province salentine la proposta di riordino amministrativo della Società Geografica Italiana, avanzata nel 2015, non si può prescindere dal fatto che una prospettiva unitaria del genere può venire solo all’interno di una riforma complessiva della governance territoriale disposta a livello nazionale da governo e Parlamento italiani.
L’importante lavoro di implementazione della bozza di masterplan, che si accinge a fare l’ateneo salentino, riparta, quindi, anche dalla revisione delle terminologie utilizzate, per poter meglio guardare avanti al futuro da costruire e non al passato. Occorrono strumenti lessicali nuovi in grado rappresentare la realtà attuale delle tre province e lo spirito unitario che le caratterizza, come dimostrano le innumerevoli iniziative comuni e gli stessi protocolli d’intesa in più occasioni sottoscritti. Se è vero, come sostiene il rettore Pollice nella prefazione alla bozza di masterplan, che «nel linguaggio geopolitico il termine “grande”, quando riferito ad un progetto territoriale, riflette assai spesso un intento autonomistico ed egemonico», tale intento non trova però alcun riscontro nella storia e nelle intenzioni del “Grande Salento”.
Un pregiudizio da sciogliere, dunque, poiché l’idea del “Grande Salento”, diffusasi nel linguaggio comune nell’ultimo decennio dello scorso secolo, è stata ufficializzata, poi, nel protocollo d’intesa promosso paritariamente dalle province di Brindisi, Lecce e Taranto nel 2007, nel reciproco rispetto dell’autonomia politica e integrità territoriale. Per dare un nome a quel progetto comune, la soluzione più naturale, infatti, fu quella di estendere il toponimo del territorio prevalente (93%) anche a quelle aree minoritarie delle province di Taranto e Brindisi che non rientrano geograficamente nella penisola salentina, una decina di comuni, sui 145 delle tre province, ma che fanno parte amministrativamente delle rispettive province.


















