Un momento del congresso nazionale del Mfe in svolgimento a Lecce, durante l'intervento di Raffaele Fitto

Lino DE MATTEIS

Il congresso nazionale in corso a Lecce del Movimento Federalista Europeo (Mfe), fondato, nel 1943, da Altiero Spinelli, uno dei padri, insieme a Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, del “Manifesto di Ventotene”, è un evento carico di significato, in questo turbolento inizio del terzo millennio, che vede squarciati i valori di libertà e democrazia, germogliati dalla tragedia della seconda guerra mondiale. Di fronte alla minaccia dei risorgenti nazionalismi e dei neo imperialismi, la risposta, infatti, non può che essere quella di una federazione degli “Stati Uniti d’Europa”, lanciata, ottant’anni fa, a Ventotene, con quel manifesto che, proprio ora, ritrova la sua più pertinente attualità.

Per un’Europa unita è, però, necessario ripartire dai territori, per far crescere, dal basso, quel sentimento comunitario essenziale alla coesione europea. Per questo, al di là delle esigenze organizzative, che hanno portato il Mfe a scegliere Lecce per il suo congresso nazionale, l’evento può diventare carico di significato anche per leccesi, brindisini e tarantini, che, superando le divisioni della tripartizione dell’antica Terra d’Otranto, potrebbero, e dovrebbero, riscoprire l’utilità di coltivare quello spirito confederativo manifestatosi, negli ultimi 25 anni, con la sottoscrizione di ben quattro protocolli d’intesa.

Ripartire dal territorio, dunque, con un Grande Salento unito, per contribuire a rendere più coese e solidali la Puglia e l’Italia, in un’Europa federale più forte. La penisola salentina, per la sua storia millenaria e le sue caratteristiche geografiche rappresenta, infatti, il territorio ideale, per diventare laboratorio di aggrega­zione sociale, in Italia e in Europa.  Contro lo spettro della deflagrazione mondiale, il rimedio più efficace non può che essere quello del primato della cultura e della conoscenza storica, per rafforzare lo spirito della convivenza e della solidarietà tra gli individui. Per questo, la cura migliore non può che partire dal territorio, dalla consapevolezza della sua identità, salutare antidoto alle ferite della comunità, insidiata da individualismi, localismi e campanilismi, che minano il senso del bene comune.

Per i salentini, lo stare insieme non è, solo, un’esigenza che scaturisce dalle comuni radici storiche, ma, anche, e soprattutto, dalla necessità di affrontare, insieme, le sfide della crescita e dello sviluppo del territorio. Basta guardarsi intorno, per capire quanto importante sia unire le proprie forze, per risolvere alcune emergenze comuni. L’ultimo allarme, per esempio, arriva dalle notizie sul declassamento dell’Aeroporto del Salento, con la riduzione del personale dei vigili del fuoco, che limiterebbe l’atterraggio dei velivoli solo a quelli di dimensioni più contenute. Lo scalo di Brindisi, il secondo della Puglia, serve una popolazione di quasi due milioni di abitanti, ed è vitale per i collegamenti con il resto d’Italia e d’Europa per le tre province salentine. Il declassamento dell’aeroporto, così come il mancato raccordo con la rete ferroviaria, non è una questione che riguarda solo Brindisi, ma che danneggia anche Lecce e Taranto, e che avrebbe dovuto già portare a una corale protesta di brindisini, leccesi e tarantini.

L’assenza di spirito unitario tra le province salentine resta, infatti, la causa principale della mancata soluzione di alcune carenze infrastrutturali, come dimostra la “grande incompiuta” della statale 7ter, la bradanico-salentina, che avrebbe dovuto collegare Taranto e Lecce con una superstrada a quattro corsie, facilitando, non solo, la circolazione interna dei residenti, ma anche quella turistica e commerciale. L’elenco dei comparti che richiederebbero una azione coordinata è ricco, a partire dalla devastazione paesaggistica, con l’essiccazione di milioni di alberi di ulivo colpiti dalla xylella, per finire al turismo, che avrebbe bisogno di un’iniziativa concertata per il lancio di un progetto organico sulla “Destinazione Grande Salento”. La dimensione territoriale della penisola salentina è, infatti, ottimale per considerare le tre province un’unica meta turistica, poiché in giornata ci si può spostare in tutte le sue località e fare ritorno all’alloggio scelto per la vacanza, in qualsiasi angolo del Salento esso si trovi.

Nessun ritorno al passato, all’egemonia dell’antica Terra d’O­tranto. Dopo un secolo di presenza delle tre province salentine, infatti, non si può che prendere atto della loro esistenza e della identificazione che, nel tempo, hanno maturato, rispetti­vamente, brindisini, leccesi e tarantini. Bisogna, però, riuscire a traghettare l’esperienza di Terra d’Otranto, adattando­la allo stato attuale della situazione amministrativa, con la divi­sione territoriale delle province di Brindisi, Lecce e Taranto, voluta dal fascismo un secolo fa. Usare quell’esperienza storica, insomma, per dare, oggi, forza alla crescita del territorio, anche attraverso strumenti lessicali e aggregativi nuovi, in grado di superare gli steccati dei confini provinciali, pur senza, però, annullarli o alterarli. Una prospettiva difficile, complessa e delicata, che si ritrova nello spirito confederativo che, negli ultimi decenni, ha animato il “Progetto del Grande Salento”, voluto dalle istituzioni salentine, con la sottoscrizione dei vari accor­di e protocolli d’intesa. Un percorso che, parallelamente, si affianca idealmente, e diventa, anzi, propedeutico, anche alla crescita di quello spirito federalista europeo immaginato a Ventotene. Ma tocca alla buona volontà di brindisini, leccesi e tarantini intraprenderlo.

Lino DE MATTEIS
Direttore ilGrandeSalento.it