di Fabio CAFFIO

Mentre si tenta di adottare un disciplinare della cozza tarantina come eccellenza gastronomica, in contemporanea la stampa nazionale ha diffuso   la notizia del sequestro nella nostra Città di 20 quintali di «cozze alla diossina» destinate al mercato barese. Il fatto è avvenuto nel Primo Seno del Mar Piccolo, in prossimità dei Cantieri Tosi, dove un furgone stava caricando i mitili provenienti dai vicini filari. Polizia e Guardia costiera, intervenuti in flagranza di reato, hanno proceduto al sequestro di cozze e automezzo.

Niente da dire ovviamente su un’operazione di polizia volta a tutelare la salute pubblica. Parecchio ci sarebbe invece da osservare sulla diffusione di notizie dal tono categorico. Il messaggio diffuso a livello nazionale è al solito quello di legare il nome di Taranto a situazioni di degrado.  Solo che questa narrazione negativa rischia anche di compromettere il passaggio dall’industria alle attività marittime sostenibili. All’origine della questione c’è il nodo irrisolto della Regione Puglia che certificano – in relazione al monitoraggio espletato qualche anno fa- valori dannosi di PCB e diossina nel I Seno del Mar Piccolo: di qui l’autorizzazione ad allevare in quelle acque, fino al 28 febbraio, solo il novellame impiantato l’anno prima, vietandone ogni successivo accrescimento e commercializzazione. Consentita è esclusivamente la movimentazione delle larve verso altre zone di allevamento, nel II Seno, in Mar Grande o in siti di altre regioni. Da questo punto di vista, il recente sequestro di un carico pronto per la vendita rappresenta la misura estrema; in via preventiva, le autorità potrebbero comunque sequestrare e distruggere le cozze ancora in sito nel I Seno che «abbiano raggiunto una lunghezza delle valve pari o superiore a  3cm e non siano stati movimentati entro il 28 febbraio».

Se guardiamo alla storia della molluschicoltura tarantina dei due secoli passati (vds. Frammenti di mare, Fondazione Michelagnoli, Taranto, 2011) dobbiamo notare che la produzione, dopo l’Unità d’Italia, è diminuita di continuo, complici l’insediamento di Arsenale, Cantieri Tosi, idrovora Italsider, e l’abbandono delle buone pratiche di allevamento di cozze ed ostriche che i Borboni avevano codificato. Al riguardo, va ricordato che l’Amministrazione delle Due Sicilie aveva emanato i “Regolamenti contenuti nel Libro Rosso del 1400 sulla pesca dei mari di Taranto ed Istruzioni dette del Codronchi del 1793” contenenti precise norme su tempi e modi della pesca secondo principi di conservazione e sostenibilità, la cui osservanza era garantita dal Guardiano dei mari di Taranto incaricato «d’invigilare, così di giorno, come di notte nel Mar Piccolo…».  I Borboni conoscevano bene il problema dell’inquinamento del Mar Piccolo (determinato a quel tempo dallo scolo delle acque acide provenienti dal Canale d’Ajedda), tant’è che nel 1860 avevano programmato l’avvio di una bonifica.

Anche la moria di mitili causato dalle temperature tropicali non è, come si crede, un fenomeno causato dall’attuale cambiamento climatico. Tante volte, in passato, in estate la produzione si è ridotta per l’abnorme riscaldamento delle acque del II Seno, dovuto a minore scambio idrodinamico ed a diminuizione dell’apporto di acqua dolce dei citri.  causando, come ha ricordato Michele Pastore (Il Mar Piccolo di Taranto, 1994), enormi danni ai cozzaruli. Un colpo mortale a tutta la filiera fu sferrato nell’estate del 1973 «dal fantasma del colera per un caso d’infezione, dovuto a mitili importati dalla Tunisia. L’evento avrebbe richiesto la distruzione di quella partita di mitili ma dietro quel fantasma, vennero agitate intolleranze che portarono al decreto di sequestro e di abbattimento dei vivai» (M. Pastore cit.).

Tutti questi eventi incentivarono l’importazione a Taranto di mitili allevati in Sardegna, Bacoli, Porto Tolle o Grecia secondo un trend che è ancora in ascesa. Non a caso Confcommercio ha di recente dichiarato che «Quotidianamente, sulla piazza di Taranto, arrivano circa 1.000 quintali di cozze greche, pronte per la immersione nelle acque del Mar Grande, bagno rigenerante necessario prima della partenza verso i banchi di vendita…Il mare di Taranto sta diventando il deposito della Grecia».  Implicitamente la Asl di Taranto lo ha ammesso nel comunicato dello scorso 2 luglio secondo cui «Nella zona a sud Tarantola non vi è presenza di mitili provenienti da Grecia o altre aree nazionali ed estere, a differenza dello specchio acqueo a nord della Tarantola, ove i parametri sono sempre risultati conformi».

Confcommercio ritiene anche che sia in atto «un piano di spartizione del mercato della cozza dal quale la produzione di Taranto resta tagliata fuori. Avanti di questo passo la cozza di Taranto del Mar Piccolo rischia l’estinzione».  Può darsi sia così, visto che sono lontanissimi i fasti di fine anni Quaranta del secolo scorso quando la Cooperativa Mitilicoltori e Ostricoltori (CO.MIO.OS), concessionaria delle zone di allevamento, era giunta a produrre 60.000 quintali di mitili e 4 milioni di ostriche. Poi il declino è cominciato col Centro Ittico Tarantino Campano SpA sciolto nel 1997, cui è subentrato il Comune di Taranto.

E’ difficile immaginare soluzioni al problema della mitilicoltura tarantina fintanto che graverà sul Mar Piccolo la minaccia della diossina che condiziona l’intera vita della Città. Tuttavia, proprio nello stesso giorno del maxi sequestro dello scorso giugno, la Jonian Dolphin Conservation organizzava in Mar Piccolo una visita della Fondazione con il Sud nel «suggestivo Mar Piccolo, incredibile oasi marina nel cuore di Taranto…» dove si pratica la miticoltura sostenibile, nuovo presidio Slow Food. Certo, il tono idilliaco di questa notizia stride con la cruda realtà.  In sostanza, sembra essersi creata una nuova narrazione: il Primo Seno è inquinato per via della vicinanza all’ILVA, mentre il Secondo è un’oasi naturalistica felice in cui è possibile allevare i mitili secondo le antiche tecniche. Se così fosse verrebbe da chiedersi come sia possibile dividere in due zone distinte un unico bacino acqueo collegato al mare aperto da canali di accesso e perciò interessato da correnti e maree che spostano da un versante all’altro identiche masse d’acqua. Oltretutto nei due Seni ci sono circa trenta sorgenti sottomarine d’acqua dolce (i famosi citri) che assicurano un continuo ricambio. Il più grande di questi citri (il “Citrello”) da cui sgorgano alla profondità di 30 mt.  milioni di metri cubi di acqua sorgiva è proprio nel Primo Seno, nella zona bandita alla molluschicoltura. E dunque: un approccio più positivo al Mar Piccolo -basato ovviamente sull’evidenza di rilevamenti continui ed aggiornati della situazione degli agenti inquinanti- servirebbe forse a guardare alla molluschicoltura tarentina con occhi più benevoli. Non abbiamo altra scelta che credere ad un simile scenario, sperando che nel frattempo i nostri pochi ultimi molluschicultori conservino le capacità tecnico-produttive maturate dai cozzaruli tarantini in secoli di attività.

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Ammiraglio Marina Militare Italiana in pensione, esperto di Diritto marittimo