Le scaffalature dell'Archivio di Stato di Lecce

Dalle pergamene alle cartografie, dagli atti notarili a quelli amministrativi, giudiziari e finanziari, i documenti conservati nell’Archivio di Stato del capoluogo salentino sono la testimonianza storica dell’unità territoriale della penisola salentina.

di Lino DE MATTEIS

C’è un luogo fisico dove ancora si possono toccare con mano le testimonianze dell’unità storico-geografica e amministrativa dall’antica Terra d’Otranto: questo luogo è l’Archivio di Stato di Lecce, in via Sozy Carafa, 15. Fu istituito, durante il breve regno di Gioacchino Murat sul trono di Napoli (1808-1815), con regio decreto il 22 ottobre 1812, come “Archivio provinciale di Terra d’Otranto” e con il compito di raccogliere, inventariare e conservare i documenti ufficiali di istituzioni ed enti pubblici. Operativamente cominciò a funzionare però solo una ventina di anni dopo la sua istituzione, durante il Regno delle due Sicilie, quando con un nuovo regio decreto di Ferdinando II, il 22 settembre 1832, la sua originale intitolazione venne modificata in “Archivio provinciale di Stato”. Un secolo dopo, nel Regno d’Italia, durante il ventennio fascista, con legge del 22 dicembre 1939, la sua denominazione cambiò nuovamente in “Sezione di Archivio di Stato”, rimasta in vigore sino al 30 settembre 1963, quando, con decreto del presidente della Repubblica Antonio Segni, gli venne assegnato l’attuale nome di “Archivio di Stato”. La sua prima sede fu in via Umberto I, nel cuore del centro storico del capoluogo salentino, nei locali del convento dei padri Celestini, dove rimase fino ai primi anni Sessanta del secolo scorso, quando venne trasferito nell’attuale sede.

L’archivio di Lecce rappresenta un vero e proprio scrigno documentale dell’unità del territorio di Terra d’Otranto, prima della suddivisione fascista nelle attuali tre province di Brindisi, Lecce e Taranto. Nei suoi scaffali sono conservati i documenti ufficiali degli Stati preunitari e di quello unitario, i documenti degli organi amministrativi, giudiziari e universitari, gli atti notarili, le liste di leva, ecc. di pertinenza dell’intera penisola salentina. L’istituto conserva anche i documenti di archivi privati, di famiglie, persone e associazioni di rilevante interesse storico e singoli documenti ricevuti in comodato d’uso, in deposito o in dono. Il suo patrimonio archivistico ammonta attualmente a circa 177.519 pezzi cartacei, 1.190 pergamene, 1 codice membranaceo, 1.756 mappe e documenti cartografici, 19 unità di materiale audiovisivo. Fa parte dell’istituto una biblioteca di oltre 10.000 titoli, con volumi di interesse locale e generale.

A partire dal 1959 e sino al 1997, l’istituto di Lecce ha trasferito agli Archivi di Stato di Taranto e di Brindisi, costituiti rispettivamente nel 1924 e nel 1954, dopo la creazione delle rispettive Province per estrapolazione dei territori da quella unitaria di Lecce, le scritture di loro pertinenza. Pur depauperando alcuni dei suoi fondi, il trasferimento, nel complesso quantitativamente poco rilevante, non ha intaccato il valore storico e simbolico che il materiale custodito a Lecce ha per l’unità della penisola salentina: a Lecce sono infatti rimaste le scritture degli uffici provinciali di Terra d’Otranto che, accentrati nel capoluogo, operarono unitariamente nell’ambito di tutto il territorio peninsulare.

«Poiché capoluogo, sino agli anni venti del Novecento, di una provincia che, quanto a giurisdizione, si estendeva a comprendere anche i territori oggi appartenenti alle province di Brindisi e Taranto, l’Archivio di Stato di Lecce acquisì – sino alla scissione amministrative di queste ultime – una cospicua mole di documenti ad essi relativi concernenti processi e pratiche definiti da magistrature ed enti attivi in Lecce ovvero da Lecce dipendenti, ma non solo», si legge nella presentazione online dell’archivio leccese, ora diretto da Donato Pasculli. «Questa circostanza è di singolare rilievo e merita di essere opportunamente rimarcata, giacché i fondi archivistici conservati in Lecce sono di importanza fondamentale e, sovente, imprescindibile per tutti gli studiosi che intendano condurre ricerche e curare approfondimenti aventi ad oggetto dette aree. A tal proposito va riferito, invero, che laddove è stato possibile estrapolare dai diversi fondi intere serie archivistiche attinenti alle attuali province di Brindisi e Taranto, senza ricorrere a forzature di alcun tipo, si è provveduto a versarle nei rispettivi Archivi di Stato, che ne avevano avanzato formale richiesta, la qual cosa ha loro permesso di rimpinguare gli originari nuclei di documenti, che, datavano – in linea di massima – a tempi recenti, impreziosendone ed arricchendone le raccolte».

Quando l’archivio di Terra d’Otranto cominciò a funzionare, di fatto nel giugno del 1832, erano ormai quasi totalmente andate disperse le scritture del Principato di Taranto e della Contea di Lecce, delle quali da secoli non si sapeva più nulla, e parte delle scritture appartenenti a magistrature dei secoli successivi e ai monasteri soppressi dal governo murattiano. Alla prima documentazione di interesse prevalentemente amministrativo, versata nell’archivio di Lecce tra il 1843 e il 1845, se ne aggiunse altra, pergamenacea e cartacea, proveniente dagli archivi comunali che custodivano i superstiti documenti delle antiche università. Per ordine ministeriale, quasi tutta la documentazione pergamenacea fu poi trasferita, nel 1845, a Napoli, nel grande archivio del regno, per essere meglio conservata e consultata. Nel Salento restarono copie e regesti delle pergamene di Lecce, Gallipoli, Castellaneta e Laterza.

I fondi custoditi attualmente nell’archivio di Lecce sono ripartiti in sei sezioni: diplomatica, notarile, amministrativa, finanziaria, giudiziaria e archivi diversi. Nei casi in cui l’epoca della documentazione lo ha consentito, sono state inoltre operate ulteriori suddivisioni cronologiche che, partendo dal periodo degli antichi regimi, interessano l’arco di tempo compreso tra il periodo francese e l’unità d’Italia, per poi giungere all’epoca post-unitaria fino al ventennio fascista, con la tripartizione delle tre province e la costituzione dei rispettivi archivi, nei quali ciascuna provincia ha poi provveduto a raccogliere i propri documenti.

Dalle pergamene alla cartografia, dagli atti notarili a quelli amministrativi, dal settore giudiziario quello finanziario, dallo stato civile al servizio di leva, ecc. i documenti conservati a Lecce rappresentano una carrellata storica di inestimabile valore unitario del territorio. Tra quelli più significativi e antichi: una pergamena del 1142 del diploma sovrano di Ruggero II; il codice di Maria d’Enghien del 1473; una pergamena miniata policroma dell’imperatore Carlo V, del 1536; una pergamena di laurea in filosofia e medicina del 1648; protocolli del notaio Giovanni Andrea Gervasi del 1672-1704. Oltre al codice di Maria d’Enghien, testimonianze superstiti della Contea di Lecce e del Principato di Taranto si ritrovano in alcune pergamene e nei libri rossi, che documentano la posizione particolare che la prima ebbe nell’età normanna e il secondo in quella angioina e aragonese. Interessante la documentazione delle magistrature precedenti al secolo XIX del territorio che comprendeva le attuali tre province di Lecce, Brindisi e Taranto. Molto ricca pure la documentazione delle università e dei notai a partire dalla metà del secolo XVI, nonché quella prodotta dagli uffici e dalle magistrature dei secoli XIX e XX. L’istituto conserva gli archivi prodotti dalle istituzioni politiche, amministrative e giudiziarie degli Stati preunitari e dello Stato italiano, quali intendenza di Terra d’Otranto, prefettura e questura, archivi notarili e archivi privati ricevuti per donazione, come gli archivi Gallone e Berarducci-Vives.

Lino DE MATTEIS
Direttore ilGrandeSalento.it