Liborio Romano

Aldo QUARTA

Il Mezzogiorno d’Italia ha bisogno di credere di più in se stesso, perché da questa consapevolezza dipende la sua volontà di essere protagonista anche oggi in campo nazionale e internazionale.

Per acquisire maggiore consapevolezza però c’è bisogno di fare i conti con il presente e con il passato.

In questi ultimi tempi si tende a rileggere la storia del Risorgimento italiano, in particolare del passaggio fondamentale del 1860 (caduta dei Borbone e nascita del nuovo Regno dei Savoia) con poca predisposizione alla definizione della verità. Come se fosse diventato più importante “tifare” per l’uno o per l’altro fronte, per i Borbone o per i Savoia, come al bar dello sport.

Purtroppo, si trascura una verità incontrovertibile: l’unità d’Italia fu possibile nel 1860 grazie anche alla corposa partecipazione della gente del Sud, non soltanto dei protagonisti che si citano in continuazione sui libri di scuola. L’unità fu possibile perché in Sicilia le rivolte prepararono e accompagnarono Garibaldi e i volontari nello sbarco e nell’avanzata verso Palermo, fu possibile perché in Calabria lo sbarco garibaldino fu preparato da attivisti locali e accompagnato nelle diverse fasi della marcia verso Napoli. Ma fu anche possibile perché personaggi come Liborio Romano (avvocato di Patù e Ministro dell’Interno nel Governo borbonico presieduto da Antonio Spinelli) si adoperarono per preparare l’ingresso a Napoli pacifico di Garibaldi e dell’Esercito Meridionale).

Furono proprio le decisioni ministeriali di Liborio Romano a predisporre e favorire il cambiamento profondo nelle istituzioni territoriali delle province meridionali, quando nel giro di poco tempo i liberali conquistarono i vertici istituzionali nelle quindici province continentali del Sud e in quasi tutti i quarantatré Distretti (organizzati in quattrocento Circondari). Fu proprio grazie alla regia del Ministro Romano che tutto questo avvenne e fu proprio grazie a questo cambiamento radicale sul territorio che il “sistema” borbonico si trovò nell’impossibilità di reagire adeguatamente alla “rivoluzione”.

Carmine Pinto, professore di storia contemporanea all’Università di Salerno, parla di “Rivoluzione disciplinata del 1860” (Contemporanea, rivista di storia dell’800 e del 900, anno 16, n.1, gennaio-marzo 2013, Il Mulino). Una “disciplina” che gestì proprio Liborio Romano di Patù, Ministro dei Borbone, poi di Garibaldi e non solo.

Senza quella “Rivoluzione disciplinata”, coordinata e imposta da Liborio Romano, probabilmente non ci sarebbe stato l’epilogo che viene scritto sui libri per la scuola dell’obbligo.

In altra occasione, ho ricordato come altri personaggi dell’attuale provincia di Lecce abbiano avuto un ruolo importante nel processo che portò nel 1860-61 all’unità d’Italia. Ho parlato di Giuseppe Libertini (Lecce) e di Giuseppe Pisanelli (Tricase), Ministro di Grazia e Giustizia nel 1860.

Devo dire che Libertini è ben rappresentato a Lecce, in piazza delle Poste, e Pisanelli oltre al monumento nella piazza principale di Tricase dispone anche di un busto in pietra sistemato nella villa comunale di Lecce.

Liborio Romano invece rimane in ombra, malgrado abbia svolto il ruolo fondamentale che consentì il cambiamento epocale tra vecchio e nuovo, dal borbonismo all’unità nazionale.

Perché rimane tanto in ombra anche oggi? Semplicemente perché da uomo del Sud ha svolto un ruolo decisivo nel delicato passaggio storico dell’unità nazionale, ruolo che si scontra con la “narrativa” ufficiale, secondo cui i padri della Patria rimangono Cavour, Garibaldi, Mazzini e il Re Savoia. Tutti rigorosamente del Nord.

Come dire che la storia d’Italia è costruita dal Nord e che il Sud continua imperterrito nel ruolo di secondo piano, ingabbiato in una ritualità ideologica che impedisce all’Italia intera di fare i conti con la verità storica.

Aldo QUARTA
Giornalista e scrittore