Stefania CAROFALO

Le opere pittoriche di Giuseppe Massimo Marangio sono esposte sino a domenica 30 giugno 2024 alla Fondazione Palmieri, sita nella Chiesa di San Sebastiano, in Vico dei Sotterranei, 26 a Lecce.

Il nome della mostra, curata da Grazia Colaianni, riprende il titolo del saggio sul Tarantismo dell’antropologo Ernesto De Martino, del 1961, “La terra del rimorso” considerato un importante documento sullo studio del fenomeno identificato come sindrome culturale di tipo isterico, condotto nel 1959 in collaborazione con uno psicologo, un sociologo e un musicologo e che raccoglie numerose testimonianze.

E’ un tema dai risvolti drammatici in cui lo stato di sofferenza della donna giovane e nubile, che lavorava sodo nei campi, viveva in famiglia uno stato di sottomissione in una realtà in cui vigeva l’ignoranza e il patriarcato. I sintomi, che si manifestavano in estate, consistevano: in offuscamenti degli stati di coscienza, dolori addominali e muscolari, deliri, stati di prostrazione, depressione e malinconia, solo per citarne alcuni.

Quando le contadine si trovavano allo stremo delle loro forze: sia fisiche e sia psicologiche, si diceva che fossero state punte dalla tarantola e che necessitavano di un rituale di guarigione che avveniva attraverso la musica del tamburello e del violino, suonati da uomini, che culminava con la visione di San Paolo che ne sanciva la guarigione.

Tale rituale avveniva alla presenza di parenti e compaesani ed era ripetuto ciclicamente ogni anno poiché ogni anno si ripresentavano i sintomi del malessere.

I turisti, attratti dagli eventi musicali con nuovi arrangiamenti delle antiche canzoni popolari e della festosa danza del corteggiamento tra uomo e donna, spesso confondono il Tarantismo con la danza della pizzica, cui si fa riferimento come ballo della tradizione popolare salentina.

I luoghi dei rimorsi in mostra sono da individuare nelle province di Lecce, Brindisi e Taranto, nelle campagne e nelle povere case contadine rappresentate attraverso l’immaginazione dell’artista.

Le contadine tarantate, rappresentate da Marangio, sono formose, sensuali e abbigliate con i camicioni bianchi che dovevano coprire i loro corpi durante il rituale di guarigione perché si dimenavano sul pavimento, imitando i movimenti del ragno, al ritmo ossessivo della musica.

Molte le presenze di volti maschili e femminili che invadono alcune composizioni in cui la donna è protagonista in situazione di disagio.

I toni cromatici ricordano i colori della terra, quello dorato delle spighe mature da mietere e del rosso come simbolo di amore e di passione e che esalta il particolare della stola contadina.

Le opere esposte sono state realizzate in un ampio arco temporale, dal 2007 ad oggi, in quanto il tema del tarantismo è stato più volte affrontato dall’artista.

I supporti delle opere variano in formato e materiale, oltre alla tela e alla carta, l’artista dipinge molto volentieri su oggetti che hanno avuto una funzione precedente: dipinge sul legno di antiche ante, i cosiddetti “scuri”, dipinge su pannelli in legno recuperati e anche, presente in galleria, su un grande coccio.

Massimo Marangio, pittore espressionista, s’ispira alla pittura più oscura di Francisco Goya, particolare che emerge dall’osservazione della drammaticità dei soggetti dipinti e dalla luce che li investe.

Le sue opere trattano prevalentemente eventi storici e situazioni che riguardano il territorio, senza tralasciare la traccia dei ricordi e delle personalità del meridione d’Italia.

Il maestro Giuseppe Massimo Marangio ha condotto i suoi studi artistici all’Accademia di Belle Arti di Lecce presso la Scuola di Alfonso Siano, in precedenza ha insegnato nel Liceo Artistico di Busto Arsizio, in quello di Campobasso, nell’Istituto d’Arte di Poggiardo e dal 2010 è docente al Liceo Artistico “Ciardo Pellegrino” di Lecce. Dal 1982 ad oggi ha esposto le sue opere sia in mostre collettive e personali, in numerose gallerie su territorio nazionale è inoltre autore di molte performance pittoriche estemporanee alla presenza del pubblico.

Stefania CAROFALO
Architetto che ama l'Arte e le parole